sabato 3 dicembre 2011

Per i giovani (La fine è il mio inizio, T. Terzani)

Quello che un padre vuole per i figli può essere pesantissimo. La libertà va lasciata. E’ inutile rompersi i coglioni, tanto le giustificazioni psicoanalitiche, psicologiche, lasciano il tempo che trovano. Fossi stato un padre pallelesse, impaurito, incapace di tutto, da grande me lo avresti rimproverato. "Quello era un pallelesse, non mi ha insegnato nulla, non mi è stato esempio di nulla!". Se invece ero un padre forte, duro, com’ero, potevi dire: "Madonna, mi ha represso!". Il fatto è che io ero chi ero, tu eri chi eri, e bisognava arrangiarsi. Hai il padre con i coglioni grossi? Bene, gestiscitelo! Non avevo fatto per voi piani precisi. Tu avrai avuto l’impressione che certe volte ti volessi spingere verso il giornalismo, ma non era affatto così. Uno non nasce per fare il giornalista come non nasce per fare l’ingegnere o il tramviere. Queste sono tutte cose che uno fa per poter vivere più o meno piacevolmente. Se allora mi devo chiedere che cosa per te io ho sognato, te lo dico semplicemente: volevo che tu fossi un uomo libero. Proprio a questo ci tenevo tanto, e avevo questa strana formula, un pò grulla anche, un pò, come dire, maschilista, che siccome tu eri l’uomo, mio figlio, sentivo che potevi essere un uomo libero, ma che non saresti mai stato felice perchè la libertà e la felicità non vanno di pari passo. Per la Saskia invece, che mi assomiglia molto di più per tanti versi, precisa com’è e attenta ai suoi doveri, mi auguravo che fosse felice, sapendo che non sarebbe mai stata libera. Perchè una donna si sposa, fa figli e non è libera come lo sono stato io e come poi sei riuscito ad esserlo tu. Questa era l’unica formula con cui pensavo a voi. E tutto quello che vi ho permesso di studiare e che ho pagato salatamente devo dire, e in alcuni casi anche inutilmente, non era per darvi un mestiere, era per darvi una cultura. Quello che mi sconcertò, e che è un pò il segno della perversione dei nostri tempi, fu che alla cerimonia di laurea della Saskia, dopo i riti nella cappella del suo collegio a Cambridge, su quel bellissimo prato nel solito pomeriggio assolato, non uno dei suoi compagni volesse fare il maestro, insegnare letteratura o storia, non uno volesse andare, che so io, a insegnare l’inglese a Timbuctu. Volevano tutti andare a lavorare nella finanza. Rimasi di stucco. Oh Folco, pensa che io avevo studiato trent’anni prima e che nessuno della mia generazione era finito in banca. Alcuni di noi furono costretti ad andare all’Olivetti perchè non s’aveva quattrini, ma l’idea di studiare delle grandi cose in queste belle università piene di storia per andare poi a gestire dei soldi con un computer mi pareva sacrilego. Io ci tenevo a esporvi alla diversità. Quando ti sei laureato ti ho portato per una settimana ad Angkor a vedere quei templi nascosti nella giungla perchè volevo che ti entrasse dentro una misura della grandezza umana. Se tanti giovani si sentono disperati è perchè non guardano. C’è così tanto da fare! E tanti fanno anche, c’è tanto volontariato in giro per il mondo. Uno non può rinunciare agli ideali.
FOLCO: Spesso uno fa delle scelte perchè non sa che ci sono alternative. Servono dei modelli a cui inspirarsi.
TIZIANO: Io trovo che la cosa più bella che un giovane possa fare è di inventarsi un lavoro che corrisponde ai suoi talenti, alle sue aspirazioni, alla sua gioia, e senza quell’arrendevolezza che sembra così necessaria per sopravvivere. "Ah ma io non posso perchè…". Tutti possono. Ma capisci quello che dico? Bisogna inventarselo! In qualche modo io ho avuto fortuna perchè ho fatto un pò così. Il mestiere che ho fatto non era proprio quello del giornalista, me lo sono inventato. Fare il giornalista per me era una specie di copertura, come uno che fa il mercante per fare la spia. Perchè in verità, sì, lo facevo con passione, ma non era la mia ossessione. La mia ossessione era vivere, vivere a modo mio, vivere come mi piaceva, vivere con queste grandi piccole gioie. Se rimani nel conosciuto non scoprirai niente di nuovo. E così è quando cerchi. Se sai quello che cerchi non troverai mai quello ce non cerchi… e che magari è giusto la cosa che conta, no? Per cui è uno strano processo che richiede grande determinazione, perchè implica rinuncia, assenza di certezze. E’ comodo adagiarsi sul conosciuto. Alle 8 c’è il treno, alle 9 apre la banca, comportati bene, non rubare i soldi, e avanti. Ma se tu esci dal conosciuto e cerchi strade che non sono state completamente battute o, come dico, se te le inventi, hai la possibilità di scoprire qualcosa di straordinario. Ogni garanzia è una condizione, no? Se tu vuoi avere la pensione, devi lavorare tutta la vita. Se vuoi avere l’assicurazione, la devi pagare. Ma pagare l’assicurazione vuol dire mettere da parte ogni mese 300 euro. Non sei libero, perchè una garanzia è una condizione, è una limitazione. Ma secondo me c’è in tutte le cose sempre una via di mezzo. Non occorre nè rinunciare a tutto, nè volere tutto. Basta avere chiaro cosa stai facendo, quali sono i compromessi. In qualche modo c’è, nel fondo, il desiderio umanissimo di una relativa immortalità, di una continuazione attraverso qualcuno che fa la tua stessa strada o che rappresenta i valori in cui hai creduto. Se hai capito qualcosa, la vuoi lasciare lì. Ognuno lo può fare, ci vuole solo coraggio, determinazione, e un senso di sè che non sia quello piccino della carriera e dei soldi; che sia il senso che sei parte di questa meravigliosa cosa che è tutta qua attorno a noi. Capito? Fare una vita, una vera vita in cui sei tu, è fattibile, fattibile per tutti. Una vita il cui ti riconosci.

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