lunedì 5 dicembre 2011

La fine è il mio inizio, T. Terzani

Il mondo fuori non ha risolto i suoi problemi attraverso la politica. Io dapprima ci credevo tanto nella conoscenza, fino a che non mi sono reso conto che la trasformazione esterna della società non fa niente per la trasformazione psichica dell’individuo. Niente. Rivoluzioni, guerre, ammazzamenti, massacri, e poi tutto è come prima. La violenza, la paura, la disperazione, la miseria non si risolvono. E il mondo interiore non avanza. Per niente. L’ho già detto mille volte: pensa al progresso che l’uomo ha fatto nei millenni a partire dalla clava usando la conoscenza! Ma lui è diventato migliore? No. Sono partito, come tutti i giovani, con un grande senso di voler cambiare il mondo, di renderlo migliore facendo tutte le cose che si pensa servano al mondo, quelle esterne. Cambi politica e dai un pò più di lavoro alla gente, distribuisci la ricchezza; con l’ingegneria fai un bel ponte che serve per attraversare un fiume. E poi ti accorgi che la soluzione non è lì. La soluzione a me pare di averla trovata nel senso che se riesci a migliorare te stesso, a fare qualcosa di te stesso e a renderti conto dell’inutilità di tutto il resto, forse metti le basi per qualcosa di grande che è, secondo me, essenziale: l’evoluzione dell’uomo verso un piano superiore. Così sull’Himalaya sono arrivato in quel posto fuori dal mondo dove mi sono dedicato solo a me e che finalmente mi ha dato per un istante la folgorazione di qualcosa al di là.
FOLCO: Una volta ho incontrato un sadhu che diceva una cosa interessante. Non so se sia vera, ma mi pareva sensata. Mi diceva che 98 pensieri dei 100 che uno ha, li ha già avuti. Anche i pensieri si ripetono.
TIZIANO: Tante volte perciò fermare il pensiero, zittirlo completamente, per trovare poi, forse, nel silenzio uno o due pensieri, ma che siano nuovi. Me la sono inventata un pò questa vita, no? Sono stata mille cose, alcune vere, alcune potenziali. Sono stato gigione, sono stato attore, assassino, pedofilo, adultero, tutto sono stato, come tutti. Sono stato tante cose in tempi diversi. Tante cose vere, intense. E ogni volta l’una sostituiva l’altra, entrava nell’altra come in un cannocchiale. Mamma mia quante parti ho fatto, quante maschere ti metti che alla fine ti soffocano. Fino a che un giorno dici: "Io, questa – pfft! – la butto via". E alla fine sono Anam, uno senza nome, senza storia, senza passato. Perchè tutta quella roba lì è frattaglia e al cuculo non gliene importa proprio nulla. Ma non per cattiveria, non è che mi vuole male. Anzi, magari canta anche per me. Tu mi chiedi chi sono. Bene, sono stato innanzitutto tante maschere, ognuna vera, ognuna falsa, perchè cambia col tempo e diventa altra. E qui dico una verità che tutti i saggi hanno capito: che non c’è permanenza. Niente è permanente, niente è permanente in questa vita. Ora non porto più nessuna maschera, ed è questo che mi dà questa grande libertà. Mi sento leggero. Ho il senso che non mi tocca più nulla, perchè non sono quella maschera, non sono questo corpo, non sono… sono una cosa molto più grande, molto più piccola molto più particolare, ma non sono niente di tutto quello. E proprio perchè non sono niente di specifico, mi posso permettere di pensare che sono tutto.
FOLCO: Se uno accetta la morte, cosa può volere di più? Cosa può esserci di più interiore dell’accettare la propria morte?
TIZIANO: E ancora più completo è l’integrare il male con il bene, la morte con la vita. Perchè se lo hai capito non soltanto con la testa, se davvero riesci a integrarli, allora hai sentito col cuore, con l’intuizione, la quintessenza dell’universo. Lo senti se hai capito che in fondo non c’è differenza.
FOLCO: Mi domando se l’illuminazione non sia proprio l’arrivare a guardare il mondo così com’è e vederlo come perfetto. Cioè, vedere che non c’è niente da cambiare. Che l’abbrutimento, le torture in Iraq e l’acqua che viene troppo calda dalla doccia, tutto è esattamente come deve essere.
TIZIANO: Mi colpisce questa definizione. Forse è giusta, forse hai ragione. Anzi, mi colpisce questo tuo pensiero perchè forse è proprio così. Perchè anche nella mia aspirazione a un uomo migliore, più spirituale, c’è desiderio. E c’è una cosa ancora più terribile, c’è divenire. Invece hai ragione tu, sì. Capire che è perfetto. E che non diviene: è. Di tutti i discorsi del Vecchio, che mi appassionavano, che trovavo interessanti, la cosa per me più bella era, all’alba, salire sul crinale. Sai, alto su quel crinale dell’Himalaya, davanti a un oceano di montagne godi di sentirti vivo, di sentire la tua carne trafitta dalle ondate di vento. Alla fine dei conti era questo che mi dava grandezza. Mi sentivo così pieno d’immenso. Perchè io non sono un intellettuale. Capisco, mi interessa, mi apre l’occhio, ma io sono uno fisico. Queste montagne, queste montagne Folco! Una mattina su quel crinale mi ha colpito un maggiolino. Mi sentivo quel maggiolino, Folco, non un elefante, quel maggiolino. L’ho seguito, camminava avanti e indietro e poi è arrivato in cima al filo d’erba e ha aperto le sue piccole ali vellutate, trasparenti, ed è schizzato via. Ma non su un altro filo d’erba vicino, verso l’infinito! Sotto c’era un precipizio di centinaia di metri e quel bischerello, stupendo, lucido, con quei puntini, è partito verso le montagne. Ed ecco, lì davvero, Folco, credimi, ho sentito che la mia vita era parte di questo. E poi fai un piccolo salto e senti che tu sei il vento, che tu sei il maggiolino, che questo corpo insomma… E con questo vivi, vivi bene, ti prepari. Niente diventa più terribile. Non mi interessava più, questo cancro. Allora, schiacciato da una cosa, mi restava però tutto quello che c’era intorno, questi alberi di deodar, da secoli lì, sotto le intemperie, e io seduto ai loro piedi. Era come se la loro linfa, il mio sangue, il mio respiro fossero tutti la stessa cosa, e io fossi parte di quella. Quella notte sono andato a letto in trance. Sono così, non sono nient’altro. Non sono un intellettuale, non sono un costruttore d’imperi, non sono un profeta, sono uno che alla fine della vita ha goduto anche della sua fisicità. E attraverso di quella, stranamente, a un certo momento, grazie indubbiamente prima di tutto al Vecchio, sono arrivato al di là della materialità. Ho potuto sentire un senso più grande, che era legato al tutto e che è la mia grande consolazione di ora. Perchè non mi si toglie. Non mi si toglie. Siamo sostenuti da qualcosa che non sono le bischerate a cui teniamo. Chi regge tutta questa roba? Chi la tiene assieme? Basta che cambi di qualche grado la temperatura e si sciolgono i ghiacciai e finisce tutto. Ma per ora tutto tiene. Chi fa cantare gli uccellini? C’è questo essere cosmico, e se per un attimo hai la folgorazione di appartenergli dopo non hai più bisogno di altro.

sabato 3 dicembre 2011

Per i giovani (La fine è il mio inizio, T. Terzani)

Quello che un padre vuole per i figli può essere pesantissimo. La libertà va lasciata. E’ inutile rompersi i coglioni, tanto le giustificazioni psicoanalitiche, psicologiche, lasciano il tempo che trovano. Fossi stato un padre pallelesse, impaurito, incapace di tutto, da grande me lo avresti rimproverato. "Quello era un pallelesse, non mi ha insegnato nulla, non mi è stato esempio di nulla!". Se invece ero un padre forte, duro, com’ero, potevi dire: "Madonna, mi ha represso!". Il fatto è che io ero chi ero, tu eri chi eri, e bisognava arrangiarsi. Hai il padre con i coglioni grossi? Bene, gestiscitelo! Non avevo fatto per voi piani precisi. Tu avrai avuto l’impressione che certe volte ti volessi spingere verso il giornalismo, ma non era affatto così. Uno non nasce per fare il giornalista come non nasce per fare l’ingegnere o il tramviere. Queste sono tutte cose che uno fa per poter vivere più o meno piacevolmente. Se allora mi devo chiedere che cosa per te io ho sognato, te lo dico semplicemente: volevo che tu fossi un uomo libero. Proprio a questo ci tenevo tanto, e avevo questa strana formula, un pò grulla anche, un pò, come dire, maschilista, che siccome tu eri l’uomo, mio figlio, sentivo che potevi essere un uomo libero, ma che non saresti mai stato felice perchè la libertà e la felicità non vanno di pari passo. Per la Saskia invece, che mi assomiglia molto di più per tanti versi, precisa com’è e attenta ai suoi doveri, mi auguravo che fosse felice, sapendo che non sarebbe mai stata libera. Perchè una donna si sposa, fa figli e non è libera come lo sono stato io e come poi sei riuscito ad esserlo tu. Questa era l’unica formula con cui pensavo a voi. E tutto quello che vi ho permesso di studiare e che ho pagato salatamente devo dire, e in alcuni casi anche inutilmente, non era per darvi un mestiere, era per darvi una cultura. Quello che mi sconcertò, e che è un pò il segno della perversione dei nostri tempi, fu che alla cerimonia di laurea della Saskia, dopo i riti nella cappella del suo collegio a Cambridge, su quel bellissimo prato nel solito pomeriggio assolato, non uno dei suoi compagni volesse fare il maestro, insegnare letteratura o storia, non uno volesse andare, che so io, a insegnare l’inglese a Timbuctu. Volevano tutti andare a lavorare nella finanza. Rimasi di stucco. Oh Folco, pensa che io avevo studiato trent’anni prima e che nessuno della mia generazione era finito in banca. Alcuni di noi furono costretti ad andare all’Olivetti perchè non s’aveva quattrini, ma l’idea di studiare delle grandi cose in queste belle università piene di storia per andare poi a gestire dei soldi con un computer mi pareva sacrilego. Io ci tenevo a esporvi alla diversità. Quando ti sei laureato ti ho portato per una settimana ad Angkor a vedere quei templi nascosti nella giungla perchè volevo che ti entrasse dentro una misura della grandezza umana. Se tanti giovani si sentono disperati è perchè non guardano. C’è così tanto da fare! E tanti fanno anche, c’è tanto volontariato in giro per il mondo. Uno non può rinunciare agli ideali.
FOLCO: Spesso uno fa delle scelte perchè non sa che ci sono alternative. Servono dei modelli a cui inspirarsi.
TIZIANO: Io trovo che la cosa più bella che un giovane possa fare è di inventarsi un lavoro che corrisponde ai suoi talenti, alle sue aspirazioni, alla sua gioia, e senza quell’arrendevolezza che sembra così necessaria per sopravvivere. "Ah ma io non posso perchè…". Tutti possono. Ma capisci quello che dico? Bisogna inventarselo! In qualche modo io ho avuto fortuna perchè ho fatto un pò così. Il mestiere che ho fatto non era proprio quello del giornalista, me lo sono inventato. Fare il giornalista per me era una specie di copertura, come uno che fa il mercante per fare la spia. Perchè in verità, sì, lo facevo con passione, ma non era la mia ossessione. La mia ossessione era vivere, vivere a modo mio, vivere come mi piaceva, vivere con queste grandi piccole gioie. Se rimani nel conosciuto non scoprirai niente di nuovo. E così è quando cerchi. Se sai quello che cerchi non troverai mai quello ce non cerchi… e che magari è giusto la cosa che conta, no? Per cui è uno strano processo che richiede grande determinazione, perchè implica rinuncia, assenza di certezze. E’ comodo adagiarsi sul conosciuto. Alle 8 c’è il treno, alle 9 apre la banca, comportati bene, non rubare i soldi, e avanti. Ma se tu esci dal conosciuto e cerchi strade che non sono state completamente battute o, come dico, se te le inventi, hai la possibilità di scoprire qualcosa di straordinario. Ogni garanzia è una condizione, no? Se tu vuoi avere la pensione, devi lavorare tutta la vita. Se vuoi avere l’assicurazione, la devi pagare. Ma pagare l’assicurazione vuol dire mettere da parte ogni mese 300 euro. Non sei libero, perchè una garanzia è una condizione, è una limitazione. Ma secondo me c’è in tutte le cose sempre una via di mezzo. Non occorre nè rinunciare a tutto, nè volere tutto. Basta avere chiaro cosa stai facendo, quali sono i compromessi. In qualche modo c’è, nel fondo, il desiderio umanissimo di una relativa immortalità, di una continuazione attraverso qualcuno che fa la tua stessa strada o che rappresenta i valori in cui hai creduto. Se hai capito qualcosa, la vuoi lasciare lì. Ognuno lo può fare, ci vuole solo coraggio, determinazione, e un senso di sè che non sia quello piccino della carriera e dei soldi; che sia il senso che sei parte di questa meravigliosa cosa che è tutta qua attorno a noi. Capito? Fare una vita, una vera vita in cui sei tu, è fattibile, fattibile per tutti. Una vita il cui ti riconosci.

giovedì 1 dicembre 2011

Addio (La fine è il mio inizio, T. Terzani)

Io non sono antimodernista o antiscientifico, ma di nuovo occorre trovare un equilibrio, cercare la Via di mezzo. C’è qualcosa in noi – il cuore, il sentimento dell’amore, l’intuito – che la scienza non prende in considerazione. Non vuole saperne dei sentimenti. Allora, vedi che questo lasciare che la voce del cuore ti parli nessuno lo fa più. Anzi, farlo è considerato un pò, insomma, da semplici. Tu pensa, ci sono grandi scienziati, personaggi che scoprono cose incredibili. Ma non necessariamente perchè uno vince il Premio Nobel per la chimica è un maestro, è un risvegliato. Può anche essere un coglione. L’uomo si illude di conoscere e certamente fa strada sulla via della conoscenza. Ma si rende conto che ogni volta che arriva al limite di ciò che è conosciuto, lo sconosciuto è immensamente più vasto di quello che lui conosce e che riuscirà mai a conoscere. Sarebbe bello allora accettare che c’è questo mistero, che c’è quello che non capirai mai, e abbracciarlo. Compreso il mistero della morte. Perchè vedi, si muore dal momento che si nasce. Si è giovani e si pensa che la morte è degli altri. Ma se uno imparasse già da bambino che la morte è parte della vita, che tu puoi integrare la morte nella vita, allora la tua vita sarebbe più bella, perchè conterrebbe questo contrasto e questa dimensione. Mica devi morire! Campa fino a cent’anni, ma campa con la coscienza che la tua vita e la tua morte sono la stessa cosa. Si deve guardare il mondo in un altro modo. Guardalo in un modo tuo, in un modo più sensibile. E’ lì, meraviglioso. Invece lo guardiamo tutti allo stesso modo e sempre di più lo guardiamo attraverso questi maledetti mezzi tecnologici. Non guardiamo più il mondo com’è e non lo guardiamo con i nostri occhi. Saskia, tu sei una bella donna, madre e giovane. Fermati ogni tanto. Fermati e lasciati prendere dal sentimento di meraviglia davanti al mondo. Senti la pace davanti a queste montagne. Mettiti per un quarto d’ora lì a sentire il silenzio, a sentirlo. Ascolta il silenzio! Chi lo fa? E’ tutto un rumore e il mondo passa. Passano milioni di formiche meravigliose, di farfalle, di fili d’erba, e non te ne sei accorta. Un treno che passa attraverso una galleria. E hai perso un’occasione, quella di diventare migliore, di arricchirti. Ma lo senti che quello che dico è così banale, così semplice, eppure sembra una grande scoperta? Quando la gente ha un problema, invece di fermarsi, invece di stare in silenzio ad ascoltare la voce del cuore, esce, va in mezzo alla folla, va al cinema, va a farsi una scopatina per rintronarsi, per dimenticare. Invece di fermarsi. Fino a che un giorno arriva… lo sgomento prima o poi arriva. E non sei pronto, non hai gli strumenti, non ti sei preparato. Allora quando hai un problema fermati, fermati. Ascoltalo e cerca di trovare la risposta dentro di te. Perchè c’è. Dentro di te c’è qualcosa che ti tiene insieme, che ti aiuta, c’è una vocina. Ascoltala. Questi la chiamano Dio, quelli la chiamano qualcos’altro, ma insomma c’è. La regola secondo me è: quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. E’ più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è speranza. E’ difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all’erta. L’altra cosa che io ripeto, e spero che tu la capisca, è di essere cosciente di quello che ti succede. Non prenderlo alla leggera. Bisogna essere all’erta e prendersi dei momenti da soli, di silenzio, di riflessione, di distacco. E guardare. Non cercare mai di ripeterti. E vivi ora! Il passato è semplicemente un ricordo, non esiste. Sono le tue memorie che accumuli, riordini, falsifichi. Ora invece non falsifichi niente. Quello che ti aspetti dal futuro è una scatola piena di illusioni, vuota. Chi ti dice che si riempirà? La vita avviene in questo momento ed è in questo momento che uno deve saperne godere.

No vabbè... la tenerezza!!

1. L’amore è quando esci a mangiare e dai un sacco di patatine fritte a qualcuno senza volere che l’altro le dia a te. (Gianluca, 6 anni)
2. Quando nonna aveva l’artrite e non poteva mettersi più lo smalto, nonno lo faceva per lei anche se aveva l’artrite pure lui. (Rebecca, 8 anni)
3. L’amore è quando la ragazza si mette il profumo, il ragazzo il dopobarba, poi escono insieme per annusarsi. (Martina, 5 anni)
4. L’amore è la prima cosa che si sente, prima che arrivi la cattiveria. (Carlo, 5 anni)
5. L’amore è quando qualcuno ti fa del male e tu sei molto arrabbiato, ma non strilli per non farlo piangere. (Susanna, 5 anni)
6. L’amore è quella cosa che ci fa sorridere quando siamo stanchi. (Tommaso, 4 anni)
7. L’amore è quando mamma fa il caffè per papà e lo assaggia prima per assicurarsi che sia buono. (Daniele, 7 anni)
8. L’amore è quando mamma dà a papà il pezzo più buono del pollo. (Elena, 5 anni)
9. L’amore è quando il mio cane mi lecca la faccia, anche se l’ho lasciato solo tutta la giornata. (Anna Maria, 4 anni)
10. Non bisogna mai dire "Ti amo" se non è vero. Ma se è vero bisogna dirlo tante volte. Le persone si dimenticano di tutto. (Jessica, 8 anni)


mercoledì 7 settembre 2011

Ole su ordinaria violenza a persone e cose

Gli allievi P. T. F. C. G. e N. sono stati sorpresi a utilizzare il loro compagno D. come ariete per sfondare la porta dell’aula.

L. appicca fuoco alle gambe del compagno.

L’alunno S. durante l’ora di mensa ustiona gravemente il compagno L. con una forchetta arroventata.

M. in preda a una crisi isterica rovescia il cestino della spazzatura sopra una sua compagna.

L’alunno M. tenta di accecare S. con la corda della veneziana dopo aver constatato che la resistenza del cavo non è tale da consentire l’impiccagione del compagno.

L’alunno E. e l’alunno M. chiedono al compagno B. se il suo libro sappia volare. Alla risposta scherzosamente affermativa di quest’ultimo scagliano lo stampato giù dalla finestra che dà sulla strada. Dopo un volo di circa 5 metri, il libro si schianta contro un’auto parcheggiata e ne attiva la sirena dell’antifurto. Purtroppo per loro l’auto è del preside, dal quale li ho appena mandati a colloquio.

T. ha sputato sulla mia auto.

Dopo il suono della campanella, che segnala l’inizio della ricreazione, l’alunno D. per manifestare la sua gioia sbatte ripetutamente la sedia sul banco.

Un oggetto volante non identificato proveniente da non si sa dove e lanciato da non si sa chi colpisce in fronte A.

L’alunno I. è pericoloso per l’incolumità, anche fisica, della classe.

L’alunno M. dorme in classe con disprezzo. Quando viene svegliato, rovescia i banchi ed esce dall’aula.

C. entra in classe 20 minuti dopo l’inizio della lezione, si rotola sul pavimento, versa il tè sul libro del compagno, si lascia andare a turpiloqui e tenta di sedurre la docente.

lunedì 22 agosto 2011

Ola n.11

D. e N. saltellano per la classe tenendosi per mano e sputandosi.

sabato 20 agosto 2011

Ole a sfondo parareligioso

C. corre per i corridoi urlando: "Dio mi insegue".

P. si butta per terra e comincia a recitare l’Ave Maria al contrario battendo piedi e mani.

L’alunno S. maledice me e la "inutile bastarda lingua che insegno".

Lo studente S. colpisce ripetutamente con il quaderno ad anelli E. alla testa, sostenendo che deve esorcizzarlo.

Gli alunni G. C. M. e A. giocano a poker in classe durante la lezione di fisica. Il sottoscritto se ne accorge quando C. lancia una bestemmia per festeggiare un full.

L’alunno D. dopo essersi totalmente scordato che nel giorno 25 ottobre era prevista una verifica di traduzione latina, alle ore 8,25 mentre i compagni svolgono regolarmente il compito apre la porta dell’aula, la richiude violentemente dopo una sonora bestemmia e credendo di non essere stato scorto dalla sottoscritta si allontana dall’edificio.

L’alunno M. incita i compagni a una crociata contro gli "infedeli" della classe accanto. Alle mie richieste di smetterla, mi risponde: "Dio lo vuole".

martedì 16 agosto 2011

"La filosofia in 32 favole", Ermanno Bencivenga

C’era una volta domani. Adesso nn c’è più. C’è un altro giorno che chiamano domani, ma domani nn c’è più. Domani è diventato ieri, o l’anno scorso, e così diventando nn è più lo stesso. E’ un pò come un bravo bambino che diventa un ladro polli: nn è più lui, ormai è un altro.
Domani era una bella giornata di sole. Ci si alzava presto al mattino e ci si sentiva pieni di energia. Si correva fuori, si facevano quattro salti nel prato, poi dentro ancora per una bella doccia e una buona colazione. Davanti al caffelatte fumante si parlava dei programmi della giornata: c’erano spese da fare dopo la scuola, amici da vedere e la sera una partita molto importante per televisione. Alla nostra squadra bastava pareggiare per andare in finale, così gli altri dovevano attaccare e attaccando si sarebbero scoperti..
Io ero affezionato a domani. Ogni tanto un giorno così ci vuole: mi mette di buon umore e il sorriso ti rimane dentro a lungo, come una fiamma che ci mette un pò a spegnersi. Adesso domani nn c’è più: è diventato ieri, o l’anno scorso. E nn è più lo stesso: quando domani è diventato ieri pioveva e nn si poteva andare fuori e nessuno aveva voglia di parlare e la nosta squadra ha perso 5 a zero. Gli altri dovevano attaccare e l’hanno fatto. Adesso c’è un altro giorno che chiamano domani, e qualcuno dice che questo giorno c’è il sole e si può andare fuori e la partita la vinciamo. E forse è vero, ma me nn interessa; anzi, nn so perchè lo chiamiamo domani. Domani nn c’è più: è diventato ieri, o l’anno scorso.