Il mondo fuori non ha risolto i suoi problemi attraverso la politica. Io dapprima ci credevo tanto nella conoscenza, fino a che non mi sono reso conto che la trasformazione esterna della società non fa niente per la trasformazione psichica dell’individuo. Niente. Rivoluzioni, guerre, ammazzamenti, massacri, e poi tutto è come prima. La violenza, la paura, la disperazione, la miseria non si risolvono. E il mondo interiore non avanza. Per niente. L’ho già detto mille volte: pensa al progresso che l’uomo ha fatto nei millenni a partire dalla clava usando la conoscenza! Ma lui è diventato migliore? No.
Sono partito, come tutti i giovani, con un grande senso di voler cambiare il mondo, di renderlo migliore facendo tutte le cose che si pensa servano al mondo, quelle esterne. Cambi politica e dai un pò più di lavoro alla gente, distribuisci la ricchezza; con l’ingegneria fai un bel ponte che serve per attraversare un fiume. E poi ti accorgi che la soluzione non è lì.
La soluzione a me pare di averla trovata nel senso che se riesci a migliorare te stesso, a fare qualcosa di te stesso e a renderti conto dell’inutilità di tutto il resto, forse metti le basi per qualcosa di grande che è, secondo me, essenziale: l’evoluzione dell’uomo verso un piano superiore. Così sull’Himalaya sono arrivato in quel posto fuori dal mondo dove mi sono dedicato solo a me e che finalmente mi ha dato per un istante la folgorazione di qualcosa al di là.
FOLCO: Una volta ho incontrato un sadhu che diceva una cosa interessante. Non so se sia vera, ma mi pareva sensata. Mi diceva che 98 pensieri dei 100 che uno ha, li ha già avuti. Anche i pensieri si ripetono.
TIZIANO: Tante volte perciò fermare il pensiero, zittirlo completamente, per trovare poi, forse, nel silenzio uno o due pensieri, ma che siano nuovi. Me la sono inventata un pò questa vita, no? Sono stata mille cose, alcune vere, alcune potenziali. Sono stato gigione, sono stato attore, assassino, pedofilo, adultero, tutto sono stato, come tutti. Sono stato tante cose in tempi diversi. Tante cose vere, intense. E ogni volta l’una sostituiva l’altra, entrava nell’altra come in un cannocchiale. Mamma mia quante parti ho fatto, quante maschere ti metti che alla fine ti soffocano. Fino a che un giorno dici: "Io, questa – pfft! – la butto via". E alla fine sono Anam, uno senza nome, senza storia, senza passato. Perchè tutta quella roba lì è frattaglia e al cuculo non gliene importa proprio nulla. Ma non per cattiveria, non è che mi vuole male. Anzi, magari canta anche per me. Tu mi chiedi chi sono. Bene, sono stato innanzitutto tante maschere, ognuna vera, ognuna falsa, perchè cambia col tempo e diventa altra. E qui dico una verità che tutti i saggi hanno capito: che non c’è permanenza. Niente è permanente, niente è permanente in questa vita. Ora non porto più nessuna maschera, ed è questo che mi dà questa grande libertà. Mi sento leggero. Ho il senso che non mi tocca più nulla, perchè non sono quella maschera, non sono questo corpo, non sono… sono una cosa molto più grande, molto più piccola molto più particolare, ma non sono niente di tutto quello. E proprio perchè non sono niente di specifico, mi posso permettere di pensare che sono tutto.
FOLCO: Se uno accetta la morte, cosa può volere di più? Cosa può esserci di più interiore dell’accettare la propria morte?
TIZIANO: E ancora più completo è l’integrare il male con il bene, la morte con la vita. Perchè se lo hai capito non soltanto con la testa, se davvero riesci a integrarli, allora hai sentito col cuore, con l’intuizione, la quintessenza dell’universo. Lo senti se hai capito che in fondo non c’è differenza.
FOLCO: Mi domando se l’illuminazione non sia proprio l’arrivare a guardare il mondo così com’è e vederlo come perfetto. Cioè, vedere che non c’è niente da cambiare. Che l’abbrutimento, le torture in Iraq e l’acqua che viene troppo calda dalla doccia, tutto è esattamente come deve essere.
TIZIANO: Mi colpisce questa definizione. Forse è giusta, forse hai ragione. Anzi, mi colpisce questo tuo pensiero perchè forse è proprio così. Perchè anche nella mia aspirazione a un uomo migliore, più spirituale, c’è desiderio. E c’è una cosa ancora più terribile, c’è divenire. Invece hai ragione tu, sì. Capire che è perfetto. E che non diviene: è. Di tutti i discorsi del Vecchio, che mi appassionavano, che trovavo interessanti, la cosa per me più bella era, all’alba, salire sul crinale. Sai, alto su quel crinale dell’Himalaya, davanti a un oceano di montagne godi di sentirti vivo, di sentire la tua carne trafitta dalle ondate di vento. Alla fine dei conti era questo che mi dava grandezza. Mi sentivo così pieno d’immenso. Perchè io non sono un intellettuale. Capisco, mi interessa, mi apre l’occhio, ma io sono uno fisico. Queste montagne, queste montagne Folco! Una mattina su quel crinale mi ha colpito un maggiolino. Mi sentivo quel maggiolino, Folco, non un elefante, quel maggiolino. L’ho seguito, camminava avanti e indietro e poi è arrivato in cima al filo d’erba e ha aperto le sue piccole ali vellutate, trasparenti, ed è schizzato via. Ma non su un altro filo d’erba vicino, verso l’infinito! Sotto c’era un precipizio di centinaia di metri e quel bischerello, stupendo, lucido, con quei puntini, è partito verso le montagne. Ed ecco, lì davvero, Folco, credimi, ho sentito che la mia vita era parte di questo. E poi fai un piccolo salto e senti che tu sei il vento, che tu sei il maggiolino, che questo corpo insomma… E con questo vivi, vivi bene, ti prepari. Niente diventa più terribile. Non mi interessava più, questo cancro. Allora, schiacciato da una cosa, mi restava però tutto quello che c’era intorno, questi alberi di deodar, da secoli lì, sotto le intemperie, e io seduto ai loro piedi. Era come se la loro linfa, il mio sangue, il mio respiro fossero tutti la stessa cosa, e io fossi parte di quella. Quella notte sono andato a letto in trance. Sono così, non sono nient’altro. Non sono un intellettuale, non sono un costruttore d’imperi, non sono un profeta, sono uno che alla fine della vita ha goduto anche della sua fisicità. E attraverso di quella, stranamente, a un certo momento, grazie indubbiamente prima di tutto al Vecchio, sono arrivato al di là della materialità. Ho potuto sentire un senso più grande, che era legato al tutto e che è la mia grande consolazione di ora. Perchè non mi si toglie. Non mi si toglie. Siamo sostenuti da qualcosa che non sono le bischerate a cui teniamo. Chi regge tutta questa roba? Chi la tiene assieme? Basta che cambi di qualche grado la temperatura e si sciolgono i ghiacciai e finisce tutto. Ma per ora tutto tiene. Chi fa cantare gli uccellini? C’è questo essere cosmico, e se per un attimo hai la folgorazione di appartenergli dopo non hai più bisogno di altro.
FOLCO: Una volta ho incontrato un sadhu che diceva una cosa interessante. Non so se sia vera, ma mi pareva sensata. Mi diceva che 98 pensieri dei 100 che uno ha, li ha già avuti. Anche i pensieri si ripetono.
TIZIANO: Tante volte perciò fermare il pensiero, zittirlo completamente, per trovare poi, forse, nel silenzio uno o due pensieri, ma che siano nuovi. Me la sono inventata un pò questa vita, no? Sono stata mille cose, alcune vere, alcune potenziali. Sono stato gigione, sono stato attore, assassino, pedofilo, adultero, tutto sono stato, come tutti. Sono stato tante cose in tempi diversi. Tante cose vere, intense. E ogni volta l’una sostituiva l’altra, entrava nell’altra come in un cannocchiale. Mamma mia quante parti ho fatto, quante maschere ti metti che alla fine ti soffocano. Fino a che un giorno dici: "Io, questa – pfft! – la butto via". E alla fine sono Anam, uno senza nome, senza storia, senza passato. Perchè tutta quella roba lì è frattaglia e al cuculo non gliene importa proprio nulla. Ma non per cattiveria, non è che mi vuole male. Anzi, magari canta anche per me. Tu mi chiedi chi sono. Bene, sono stato innanzitutto tante maschere, ognuna vera, ognuna falsa, perchè cambia col tempo e diventa altra. E qui dico una verità che tutti i saggi hanno capito: che non c’è permanenza. Niente è permanente, niente è permanente in questa vita. Ora non porto più nessuna maschera, ed è questo che mi dà questa grande libertà. Mi sento leggero. Ho il senso che non mi tocca più nulla, perchè non sono quella maschera, non sono questo corpo, non sono… sono una cosa molto più grande, molto più piccola molto più particolare, ma non sono niente di tutto quello. E proprio perchè non sono niente di specifico, mi posso permettere di pensare che sono tutto.
FOLCO: Se uno accetta la morte, cosa può volere di più? Cosa può esserci di più interiore dell’accettare la propria morte?
TIZIANO: E ancora più completo è l’integrare il male con il bene, la morte con la vita. Perchè se lo hai capito non soltanto con la testa, se davvero riesci a integrarli, allora hai sentito col cuore, con l’intuizione, la quintessenza dell’universo. Lo senti se hai capito che in fondo non c’è differenza.
FOLCO: Mi domando se l’illuminazione non sia proprio l’arrivare a guardare il mondo così com’è e vederlo come perfetto. Cioè, vedere che non c’è niente da cambiare. Che l’abbrutimento, le torture in Iraq e l’acqua che viene troppo calda dalla doccia, tutto è esattamente come deve essere.
TIZIANO: Mi colpisce questa definizione. Forse è giusta, forse hai ragione. Anzi, mi colpisce questo tuo pensiero perchè forse è proprio così. Perchè anche nella mia aspirazione a un uomo migliore, più spirituale, c’è desiderio. E c’è una cosa ancora più terribile, c’è divenire. Invece hai ragione tu, sì. Capire che è perfetto. E che non diviene: è. Di tutti i discorsi del Vecchio, che mi appassionavano, che trovavo interessanti, la cosa per me più bella era, all’alba, salire sul crinale. Sai, alto su quel crinale dell’Himalaya, davanti a un oceano di montagne godi di sentirti vivo, di sentire la tua carne trafitta dalle ondate di vento. Alla fine dei conti era questo che mi dava grandezza. Mi sentivo così pieno d’immenso. Perchè io non sono un intellettuale. Capisco, mi interessa, mi apre l’occhio, ma io sono uno fisico. Queste montagne, queste montagne Folco! Una mattina su quel crinale mi ha colpito un maggiolino. Mi sentivo quel maggiolino, Folco, non un elefante, quel maggiolino. L’ho seguito, camminava avanti e indietro e poi è arrivato in cima al filo d’erba e ha aperto le sue piccole ali vellutate, trasparenti, ed è schizzato via. Ma non su un altro filo d’erba vicino, verso l’infinito! Sotto c’era un precipizio di centinaia di metri e quel bischerello, stupendo, lucido, con quei puntini, è partito verso le montagne. Ed ecco, lì davvero, Folco, credimi, ho sentito che la mia vita era parte di questo. E poi fai un piccolo salto e senti che tu sei il vento, che tu sei il maggiolino, che questo corpo insomma… E con questo vivi, vivi bene, ti prepari. Niente diventa più terribile. Non mi interessava più, questo cancro. Allora, schiacciato da una cosa, mi restava però tutto quello che c’era intorno, questi alberi di deodar, da secoli lì, sotto le intemperie, e io seduto ai loro piedi. Era come se la loro linfa, il mio sangue, il mio respiro fossero tutti la stessa cosa, e io fossi parte di quella. Quella notte sono andato a letto in trance. Sono così, non sono nient’altro. Non sono un intellettuale, non sono un costruttore d’imperi, non sono un profeta, sono uno che alla fine della vita ha goduto anche della sua fisicità. E attraverso di quella, stranamente, a un certo momento, grazie indubbiamente prima di tutto al Vecchio, sono arrivato al di là della materialità. Ho potuto sentire un senso più grande, che era legato al tutto e che è la mia grande consolazione di ora. Perchè non mi si toglie. Non mi si toglie. Siamo sostenuti da qualcosa che non sono le bischerate a cui teniamo. Chi regge tutta questa roba? Chi la tiene assieme? Basta che cambi di qualche grado la temperatura e si sciolgono i ghiacciai e finisce tutto. Ma per ora tutto tiene. Chi fa cantare gli uccellini? C’è questo essere cosmico, e se per un attimo hai la folgorazione di appartenergli dopo non hai più bisogno di altro.